La parola «consumo» ha radici anglosassoni e latine. Nella sua accezione originale, il termine «consumare» ha significato di distruggere, esaurire, spogliare. Il termine ha un contenuto violento e, fino a tempi molto recenti, ha avuto una connotazione esclusivamente negativa. Ancora negli anni Venti, il termine veniva usato per riferirsi agli effetti della più mortale delle malattie diffuse all’epoca: la tubercolosi. Oggi, l’americano medio consuma due volte di più di quanto facesse alla fine della seconda guerra mondiale. La metamorfosi del consumo, da vizio a virtù, è uno dei fenomeni più importanti – eppure uno dei meno studiati – del XX secolo.
[Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, 1995]
Il problema non è quanti abitanti ha la Terra ma quanto consumiamo; il nocciolo della questione, è perfino banale dirlo, è la distribuzione delle risorse; e questo dipende da molti fattori, ma ciò che importante capire è quello che afferma Jeremy Rifkin proseguendo il brano sopra riportato e cioè che:
“Il fenomeno del consumo di massa non è stato spontaneo, e non è neppure un inevitabile sottoprodotto dell’insaziabilità della natura umana”.
Di cosa si tratta allora?
L’ha ripubblicato su Jakob Iobiz.
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