Nella mia strada viveva un uomo
che faceva il cameriere.
Somigliava a Charlie Chaplin.
Era più alto, più grasso di lui,
ma camminava nel medesimo modo,
con i piedi divaricati e l’andatura incerta,
i baffetti e i capelli neri.
Viveva solo, in un appartamento
senza riscaldamento
al secondo piano di un vecchio palazzo.
Il giorno di riposo
lo trascorreva seduto
a guardare i giocatori di biliardo,
e a volte si addormentava sulla panca.
Il barista lo svegliava all’ora di chiusura,
lui usciva e ritornava a casa.
La mattina faceva colazione allo stesso bar
con una brioche, un cappuccino
e un bicchiere di stravecchio.
Lo vedevo passare davanti a casa mia
tutti i giorni. Un pomeriggio,
mentre pioveva, lo incontrai
senza ombrello. Camminava per strada
senza neppure tentare di ripararsi.
Ne avevo uno e glielo prestai.
La mattina seguente ritrovai l’ombrello
nell’androne del condominio
insieme a un pacchetto. Dentro
c’era un piccolo libro di sue poesie.
Alla fine dell’estate,
avevano appeso un cartello
sul portone del suo palazzo.
Pensai, è così che se ne vanno i poeti,
in silenzio, con un cartello
Affittasi.
Ma i primi giorni di autunno
lo rividi ubriaco che dormiva
sulla panca dello stesso bar.
E pensai, è così che, certe volte,
anche i poeti cambiano casa.