Un bella recensione per Spring

di Daniele Luti

Mi occupo di critica letteraria ormai da moltissimi anni, quindi mi capita sempre più spesso di recensire, accanto a scrittori e poeti che non conosco personalmente o che “sono andati un attimo nella stanza accanto”, come un grande scrittore ha definito l’aldilà, libri di amici. Lo faccio sempre volentieri cercando di muovermi naturalmente sempre con onestà e con correttezza professionale, proprio per onorare l’Amicizia. Questo che vi invito a leggere è l’ultimo testo di Fabio Iozzi, musicista, scrittore e mio caro amico perché persona impegnata, per antica vocazione spirituale e cultura politica, a stare sempre dalla parte degli ultimi. È un modo per non sbagliare mai, per sentirsi sempre in buona compagnia.

L’ultimo lavoro di Fabio Iozzi ha un titolo particolare: SPRING, in inglese, molla ma anche Primavera. Insomma spinta propulsiva, energia nuova, rinascita. Campo semantico della vita che urta o, meglio, si contrappone alla scelta grafica della copertina che offre al nostro sguardo la scena malinconica di un paesaggio autunnale che si prepara all’inverno. Credo che questa dimensione ossimorica legga bene la trama del romanzo. Non a caso la scenografia all’interno della quale “respirano” la vita i personaggi ha tutte le caratteristiche del dêbraillée, del decadente, del provvisorio, del brutto, tutte categorie che implicano il non luogo, la luce agonizzante del crepuscolo invernale. E se la speranza, la carità, la tenacia nel credere nella risurrezione del genere umano (insorgere per risorgere) esistono e possono correggere la vita tutto questo si svolge poeticamente nella soggettività creativa degli uomini, dentro il laboratorio della loro coscienza.

Ovviamente, anche in memoria dei miei maestri, di chi mi ha insegnato il modo di rapportarmi all’arte, in particolare a quella sottile e strabiliante tecnica di speleologia psicologica che, in definitiva, è la critica letteraria aperta ai grandi spazi del sublime, matematico e dinamico, mi sono posto subito il problema di classificare il genere narrativo a cui Spring appartiene. Viste le difficoltà del protagonista, Vincenzo, manovratore di gru, tradito dalla moglie, cacciato dal lavoro in nome delle leggi del profitto capitalistico, ridotto a vivere da homeless nei tuguri e dentro la sua vecchia Volkswagen, in un paesaggio violentato, sfigurato dalla lebbra della miseria, insidiato dalla solitudine putrida di vecchi e nuovi passaggi della peste, la guerra civile, il lento ritorno a una nuova dimensione umana, mi sarebbe sembrato corretto, logico parlare di romanzo distopico. Così viene definita la narrazione di una realtà immaginaria del futuro ma prevedibile sulla base di tendenze percepite come negative. Ma il mio ritmo kataplotiko (per il mio fratello Danilo Cucini che sarà costernato per il mio inguaribile narcisismo diciamo che la parola significa ostile alle semplificazioni) mi ha portato in altra direzione: il romanzo di Fabio per la contrapposizione radicale ai valori del nazionalismo sempre foriero di militarismo, ai pregiudizi razzisti di chi non comprende, per assenza di cultura, per povertà intellettuale, il valore assoluto della diversità, alla mancanza di carità (categoria cristiana) e di solidarietà (categoria socialista), per l’intento didascalico, è per me romanzo civile toccato dal miracolo della innocenza e quindi in qualche modo organico a certo cinema della fase tra il neorealismo e il romanticismo dello sguardo pietoso sulla umanità dolente, dolorosa che è stato distintivo della poesia di Pier Paolo Pasolini da Accattone alla Ricotta. Non a caso al centro del cosmo letterario di Iozzi c’è l’uomo e quindi il lettore, il narratario da lui individuato nell’uomo del dubbio e della lotta, quindi nel nemico dei cormorani o, montalianamente, di chi

“se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l’ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!”.

Aggiungo che nella tessitura delle tre sezioni ho individuato spazi meditativi, il corrispondente prosico della dieresi in poesia, che spingono il lettore ad allargare lo spazio della storia, a immaginare altre vicende o nuovi dettagli. Fabio crea degli indugi, delle sospensioni narrative, dei salti e ci trasforma in vagabondi delle stelle per citare l’opera più bella di Jack London. È un libro in cui un carcerato, destinato alla morte, Standing, sopporta giorni e giorni di camicia di forza, uscendo dalla cella e quindi dalle mura del carcere, attraverso la creazione di storie, di epoche e di luoghi a lui suggeriti dalla fantasia intellettuale. Noi lettori, dunque, per le caratteristiche “musicali” del libro riusciamo a “chiarire il mistero della vita”; infatti ci serviamo della letteratura e della poesia, dei personaggi, Vincenzo sì ma soprattutto Edoardo, il bambino che lo riconosce come uomo e sceglie per lui un gesto di carità, per cominciare il viaggio attraverso il nostro entrare in rapporto dialettico con la storia.

Iozzi, ne sono convinto, predilige la dimensione del racconto o del romanzo breve perché vive in sintonia con il moderno esistere dove spesso il presente nel suo farsi senza pause vibra tra il dissolversi del passato e un futuro difficilmente intuibile per “lo fioco lume”. Da qui una scrittura buia, “consolata”da luci indecise, di albe di ghiaccio per raccontare il dramma di una umanità costretta a muoversi insidiata da un precipizio.

In una nota finale, Fabio ha formalizzato i suoi debiti culturali, ha segnalato le fonti, quelle di cui è cosciente: da Jannacci, impossibile non richiamarlo visto il protagonista, a Saint-Exupéry a Brodskij, ma mi si permetta di aggiungere che ci sono atmosfere che mi hanno fatto pensare ad Alda Merini che sui barboni ha scritto poesie e lacerti memoriali.

“Mi piacciono i barboni.

Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,

sentire gli odori delle cose,

catturarne l’anima.

Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.

Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore.”

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