Bomber (3)

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Stamattina, Roberto è andato al parco perché aveva bisogno di liberarsi la mente da certi brutti pensieri; è rimasto da solo per un po’ di tempo, perché lì al parco avevano già tutti un cane, un bambino o un vecchio con cui parlare. Però, dopo una ventina di minuti, ha trovato un tipo in gamba con il quale si è messo a discutere del Barcellona, del campionato spagnolo, Messi, Neymar e Cristiano Ronaldo. Ma dopo pochi minuti è arrivata la madre e lo ha portato via perché doveva mangiare la merendina, fare la pipì e un sacco di altre cose che fanno i bambini a quella età. Allora Roberto gli ha regalato due figurine, una di Messi e una di Neymar e gli ha detto che se ritorna al parco continueranno a parlare di calcio.

Più tardi, nel pomeriggio, è andato al campo per la partita. Gli hanno dato la maglia numero nove. Appena l’ha vista è andato dal Mister e gli ha detto: «Mister, come devo giocare?» e il Mister gli ha risposto: «Che numero hai?».

«Il nove».

«Bene, allora gioca da nove».

«Okay, Mister».

Poi il Mister lo ha richiamato e gli ha detto: «Ehi, Rooney, mi raccomando: offensivo!».

«Certo Mister!».

In quanto a essere offensivo, se c’è da offendere, Roberto offende. Non si tira indietro. Certe volte anche troppo perché offende perfino gli avversari, il pubblico, l’arbitro e chiunque altro gli capiti a tiro.

Una volta, che era incazzato nero, aveva preso un palo (ma non lo aveva colpito con il pallone, il palo, lo aveva raccolto da terra dove se ne stava gettato a bordo del campo, con una bandiera gialla tutta scolorita legata da una parte) per minacciare un difensore avversario che lo tormentava dall’inizio della partita con calci e gomitate. L’arbitro lo aveva guardato incazzato ancora più di lui e si era messo a fischiare dentro al fischietto con tutto il fiato che aveva in corpo. Roberto, per un attimo, era rimasto immobile; il pubblico gli gridava un po’ di tutto e qualcuno, più forte degli altri, lo incitava in tono di sfida a colpire l’avversario. Roberto non se lo era fatto dire due volte. Aveva colpito il difensore avversario con un colpo in mezzo alla vita urlando: «Così impari a rompere le palle!». Allora l’arbitro lo aveva espulso; cos’altro poteva fare?

Cioè, per la verità, l’arbitro aveva provato a buttarlo fuori ma non ci sarebbe riuscito se non fosse stato per l’aiuto di una decina di forzuti aiutanti occasionali che accompagnarono Roberto fuori dal campo con le buone maniere. Lui era stato costretto a uscire, anche se si vedeva bene che non ne aveva nessuna voglia; e mentre lo accompagnavano fuori, alcuni di quei tizi gli avevano anche dato dei bei pugni sul capo e qualche pedata.

Roberto però non si era scomposto; aveva visto bene chi era stato e ne aveva la faccia impressa nella testa come in un selfie. Sapeva che, prima o poi, li avrebbe ritrovati tutti. Questo è il bello del calcio: c’è sempre un girone di andata e uno di ritorno.

J. Iobiz

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