Non uno, ma tanti manicomi

Per arrivare fino a Collina Isola si dovevano superare mille altre colline più basse che la circondavano da ogni lato; occorreva prendere un vecchio treno nero a vapore che procedeva lento come il traghetto che collegava la terraferma con le isole ma viaggiava in direzione opposta, verso la campagna, sbuffando in cielo il suo fumo in tutto e per tutto uguale a quello del battello con cui era possibile raggiungere l’arcipelago.

A giugno e a settembre molte persone preferivano quel vecchio treno al traghetto che andava per mare perché durante il tragitto per Collina Isola, che nell’ultimo tratto veniva compiuto a passo d’uomo, era consentito ai passeggeri scendere e mangiare le ciliegie, o l’uva secondo la stagione, raccogliendo i frutti maturi direttamente con le loro mani dagli alberi e dai filari appositamente piantati dall’Amministrazione Ferroviaria – che a quell’epoca era evidentemente molto più lungimirante e benevola che nei tempi successivi.

Gli studiosi del secolo scorso costruirono lassù il loro nuovo e moderno manicomio; anzi, i loro manicomi, perché non ne costruirono uno solo ma molti di più. Uno lo realizzarono per gli uomini adulti, uno per le donne adulte, uno per i ragazzi, un altro per le ragazze, un altro per i criminali, uno per gli anarchici, un altro per quelli che non si sapeva bene a quale categoria appartenessero e neppure se fossero veramente e malati; uno per i degenti gravi, un altro per quelli meno gravi, eccetera eccetera.

E avrebbero certamente continuato a costruire edifici dedicando un apposito padiglione a ciascuna delle nuove patologie che man mano venivano scoperte grazie ai progressi della nuova medicina psichiatrica, se non ci fosse stato, diversi anni dopo, un radicale cambiamento di opinioni su cosa fosse la pazzia e come si dovesse curare la gente che ne era colpita.

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