Sulla banchina di uno dei viali che collegano il fiume alla strada statale, ferma tra due platani, era parcheggiata un’auto, per la precisione una vecchia Volvo 740 del 1985 con la carrozzeria di colore bianco e il tetto nero; il veicolo aveva la targa straniera e al suo interno un uomo stava dormendo sdraiato al posto di guida. E questo era anche comprensibile perché il display dell’orologio sul cruscotto dell’auto segnava le quattro di notte. Il volto dell’uomo, che dimostrava più di settant’anni, aveva un’espressione distesa, serena, quasi angelica; i capelli quasi tutti bianchi, lisci, un po’ troppo lunghi, la fronte non molto alta, gli occhi piccoli con molte rughe ai lati formavano un insieme tutto sommato piacevole ma non bello, piuttosto la brutta copia di un uomo bello. Indossava solo una maglietta bianca e dei pantaloni corti e dormiva profondamente coricato su un fianco.
Uno dei vecchi amici di Alfredo, questo è il nome dell’autista momentaneamente assopito al volante della Volvo, gli aveva raccontato che Daniela, la sua ex moglie, diceva in giro che lui era morto; la donna sosteneva che era caduto da un’impalcatura in un cantiere edile una mattina d’inverno. E poi raccontava di come si era svolto il funerale, di cosa aveva detto il prete durante la predica e di quante persone accompagnarono a piedi e in silenzio il feretro fino al cimitero. Secondo Alfredo, la sua ex moglie si comportava in questo modo per non essere costretta a raccontare la verità, di cui certamente si vergognava, o forse perché, per lei, lui era morto veramente.
(continua)
(Da Il Ponte dei Miracoli)