All’improvviso ha gettato il cappello per aria
E il vento glielo ha portato via
Mentre il tempo
Ora è fermo all’angolo
Della via e della vita;
La fronte fugge da non sai cosa
Le orecchie sventolano ai lati del viso.
La pancia spancia più del dovuto
E del voluto, senz’altro più del goduto.
Pagine e dita ingiallite, reparti e case imbiancate
Vette e storie inviolate.
L’ospedale è un triste andirivieni
Dove è facile andar perduti
Senza più venir trovati.
La sera il viso è fisso davanti alla tivù
Come il quadro alla parete
E lo sguardo nel vuoto.
Come un soprabito
Disabitato appeso
A un attaccapanni ferito
Inchiodato a una parete verticale.
Che scende a piombo
Tra soffitto e pavimento,
Croste e crepe,
Vicino a un portaombrelli chiusi
E uno specchio che non pensa
Ma riflette ora una immagine vuota
Ora un vecchio, ora un raggio di luce.
S’imbianca intanto il capo
Chino sotto gli anni
E il giardino d’inverno sotto la neve.
Però a mezzogiorno,
Anche di domenica,
Se c’è il sole,
S’illuminano le alte finestre
Del grande ospizio
Pieno di matti e mattoni
E al di là dei vetri traspare una luce.
Non è facile capire
Se viene dall’interno
O è un riflesso del cielo
O dell’azzurro dietro di noi.
Oppure dentro di noi.
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