I venditori di ombrelli (fine)

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Mario passava da un mondo luminoso, caldo, animato e piacevole ad un altro dove invece non c’era nessuno, se non lui; un luogo freddo e inospitale, ricoperto solo di ghiaccio, di un ghiaccio che non si scioglieva mai, un ghiaccio che rendeva impossibile e addirittura impensabile il nascere di qualcosa di diverso. Là non c’era mai il sole ma solo una fredda luce simile a quella della luna e, talvolta, neppure quella. In quei frangenti, Mario trascorreva il suo tempo a osservare in silenzio il paesaggio che oramai conosceva in ogni suo minimo dettaglio: era un paesaggio sempre uguale a se stesso e anche lui era sempre uguale a se stesso. In quel mondo era sempre solo, perché là dentro tutti quanti erano soli. Di persone ce n’erano tante ma ciascuna rimaneva oscura alle altre, come se si trattasse di esseri trasparenti e intangibili.

Quando raccontava tutte queste cose mi metteva addosso una grande tristezza; non sapevo mai cosa rispondere e anche quando avevo qualcosa da dire in realtà non mi riusciva dirglielo perché le parole non mi uscivano dalla bocca. Mario aveva capito che quando si stava avvicinando il momento di lasciare quelli che chiamava gli stati infelici dell’anima cambiava la luce. Vedeva – o sentiva ? – arrivare una luce diversa, calda e radente che illuminava a poco a poco le persone e gli oggetti che fino a quel momento erano rimasti completamente grigi. Di colpo ritrovava l’interesse, la passione per le cose e anche l’amore per le persone. E quando invece precipitava negli stati infelici della anima accadeva l’esatto contrario: tutto si spegneva e anche le cose che fino a qualche istante prima lo avevano attratto divenivano per lui del tutto insignificanti.

Comunque, dopo il mese di ottobre non lo vidi più per diverse settimane e iniziai a stare in pensiero per lui. Dissero che non veniva neppure più a dormire di nascosto nelle scale del palazzo dove prima aveva il suo appartamento.

Lo trovarono qualche tempo dopo, una mattina di febbraio, disteso sul selciato dove si era lasciato cadere del quinto piano di un palazzo. Per diverse settimane nessuno lo aveva più visto e avevo pensato che fosse partito per cambiare aria. Aveva detto molte volte che avrebbe voluto cambiare aria. A volte serve davvero cambiare aria, cambiare un po’ tutto e tutti, ma più di ogni altra cosa sarebbe importante riuscire a non restare soli; e lui, invece, era rimasto veramente solo.

Quando lo trovarono morto disteso su quelle pietre, nessuno aveva neppure denunciato la sua scomparsa. Non lasciò né biglietti né messaggi e non aveva accanto a sé alcun bagaglio, solo quel suo ombrello nero, quello di cui mi aveva raccontato tante volte.

E io, anche oggi a distanza di molti anni, mi chiedo, chissà, se non fosse rimasto così solo, magari anche quel baco che aveva nel cervello, forse, se ne sarebbe rimasto ancora lì nascosto, da qualche parte, magari per altro tempo ancora fino a farlo invecchiare tranquillo.

Nel frattempo continuo a fare dei sogni nei quali rivedo delle persone morte, ma lui non l’ho mai incontrato. Comunque, su questo non mi faccio illusioni perché so bene che, anche se lo incontrassi, neppure mi riconoscerebbe.

J. Iobiz

10 pensieri su “I venditori di ombrelli (fine)

  1. Se avessero trovato l’ombrello aperto giurerei che avrebbe tentato di volare ma non è così. O forse avrà pensato che dove sarebbe voluto andare quell’oggetto gli sarebbe non solo stato utile ma portato dietro perché comprato in un momento di assoluta lucidità. Viaggiare da uno stato all’altro sfianca. Soprattutto quando si è sempre soli. Il baco nella testa? Uno switch 😁

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