Il Noise flow invase in pochissimo tempo tutta la città. Le orecchie, le menti e i cuori delle persone si abituarono in fretta e senza opporre resistenza a quella nuova presenza artificiale. Al disopra di quel mormorio indistinto esisteva ormai solo ciò che era in grado di avere una speciale risonanza; tutto il resto restava opaco e inascoltato. E in quel non-silenzio era possibile vedere i cani passeggiare al caldo dei loro bei cappottini di lana e i bambini senza. Questi venivano lasciati morire nell’indifferenza dei media e dei manifestanti animalisti, buoni e alla moda.
Improvvisamente fu come se i popoli della terra si fossero trovati costretti a vivere a fianco a fianco gli uni agli altri, e lo spazio si fosse ristretto. Le persone si scoprirono lentamente sospinte le une vicino alle altre. Mutò lo stesso scorrere del tempo. Il futuro scomparve, al passato nessuno credeva più e tutto si ritrovò immerso in un lungo e infinito presente.
Lui, il mio nemico, quel mare indistinto di informazioni, segnali, suoni e interferenze sommergeva ogni cosa, ogni luogo, ogni persona. Talvolta pensavo che quello potesse essere l’inizio di un secondo diluvio universale, e questa volta non sarebbe stato Dio a inviarlo agli uomini ma gli uomini a procurarselo da soli. La velocità divenne una sorta di agitazione: in realtà eravamo tutti prigionieri, immobili come stalagmiti dentro una caverna; la nostra esistenza cresceva con il passare dei giorni, perché la vita dal cielo continuava a distillare il tempo sopra di noi, ma noi restavamo immobili.
Ero certo che dietro a quel fenomeno si nascondesse una potente congrega di ignoti tiranni che stava governando le sorti di Sloth City; vista l’impossibilità di ridurre al silenzio tutti i suoi abitanti, aveva deliberatamente programmato di oscurarne le voci in un altro modo, un modo molto semplice, e cioè creando un bel rumore di fondo, il Noise flow. Alzando l’intensità di quel rumore, tutto il resto diventava indistinto e incomprensibile. In un colpo solo venne messa a tacere ogni singola espressione, lamento o contestazione. Tutti furono frastornati e finirono per avere i propri pensieri inquinati e confusi.
Era una nuova forma di dittatura che aveva subdolamente soppiantato, senza violenza né costrizione, quelle che c’erano state prima di allora.
«Ma come», chiedevano in molti di fronte alle mie osservazioni, «proprio ora, nel mondo di internet, quando è diventato più facile potersi esprimere con social network, Facebook, Twitter, Instagram eccetera, proprio adesso, secondo te, si dovrebbe ritornare a fare silenzio?». Eppure era proprio quello il momento in cui tutti avremmo dovuto sentire il dovere di recuperare l’innocenza, la vergine ignoranza del silenzio.
(continua)
J. Iobiz