In passato, mi era accaduto di ascoltare mia madre che mi descriveva come un ragazzo con un comportamento un po’ stravagante e vittima di alcune ossessioni che però non avevano, secondo lei, caratteri allarmanti; se invece che in me fossero nate nella mente di una persona con un carattere calmo e pacato sarebbero passate inosservate e non avrebbero avuto alcun effetto.
Ma la sorte aveva voluto invece che quelle idee si fossero fissate proprio nella mia mente; che quelle semplici idee passeggere, prive in sé d’ogni interesse, si fossero soffermate nei miei pensieri conquistandone angoli e spazi del tutto ingiustificati e sproporzionati. Questo era quello che lei pensava di me; purtroppo mia madre non mi ha mai capito.
Eppure, più di una volta mi aveva detto che io possedevo un forte spirito critico; anche troppo critico, secondo lei. Ma il dispiacere, e forse dispiacere non è la parola giusta, che portava dentro di sé in ragione di quella sua consapevolezza, non l’aiutava a scrollarsi di dosso quei giudizi negativi nei miei confronti: anzi, quelle sue idee diventarono con il tempo una sabbia che le inceppava i pensieri.
Mi ero ormai convinto che la normalità fosse come la neve: qualcuno ci scivola sopra, si diverte e perfino ci si annoia, mentre altri ne restano prigionieri e ne vengono sommersi senza riuscire più a emergere.
Cercai di reagire.
Mi ingegnai per non fare alcun tipo di rumore, non usavo più internet, non guardavo più la televisione e non ascoltavo più la radio. Ero fermamente convinto che ogni altra parola, suono o semplice flusso elettromagnetico avrebbe finito con l’aumentare quel generale, indistinto e ininterrotto caotico rumore di fondo.
Il filo dei miei pensieri restò così circondato dal silenzio e fu finalmente libero di distendersi come una testa stanca su un cuscino e riposarsi come un bambino nella sua vergine ignoranza.
Non saprei dire con precisione per quanto tempo rimasi chiuso nella mia stanza; so solo che persi ogni contatto con il mondo esterno. Uscivo solo per comprare qualcosa da mangiare, quando ne ero costretto e mangiavo solo quando non ne potevo più fare a meno.
Di una cosa ero certo: più tardi, quando la natura fosse ritornata nuovamente innocente e Lui avesse cessato di riempire la menti delle persone con il suo subdolo mormorio, sarebbe stato impossibile per chiunque capire qualcosa del tempo che stavamo vivendo; quando cioè fossimo riusciti a vederlo fermo, quel tempo, tutto si sarebbe cristallizzato in una serie di istanti insuccessivi e non avremmo più visto con lucidità gli eventi come invece io li potevo distinguere in quel momento. Avremmo visto scomparire per sempre le cause e gli effetti e insieme sarebbero sparite anche le colpe e i delitti; e senza colpe sarebbero scomparsi per sempre anche i colpevoli mentre io volevo che in eterno sopravvivessero solo gli innocenti.
Per questo motivo dovevo intervenire prima che tutto questo accadesse. Il giorno del mio trentaquattresimo compleanno mi sentii finalmente pronto.
Eravamo all’inizio del mese di luglio, il mese dei festeggiamenti.
J. Iobiz