NAVIGANDO SUL MARGINE DELLA NOTTE

Le ultime imbarcazioni rientrano lentamente in porto. I loro motori hanno un ritmo prudente. L’oscurità confonde le stelle con i casolari adagiati sui promontori isolani. Alcune finestre si accendono come tessere di un puzzle.

All’interno di una di quelle finestre ci sono io, domani sarà il mio ultimo giorno di lavoro. Ho davanti agli occhi una foto che mi ritrae da piccolo in una stazione ferroviaria insieme a mio nonno e a mia madre. Si vede il fumo che esce dai condotti interrati, si avvertono i rumori dei treni transitati.

Più tardi mi svegliai sul treno cullato dal ritmo dei giunti delle rotaie. Andavamo verso Nord e ci lasciavamo alle spalle la terra dove è nato mio nonno e dalla quale mia madre era emigrata prima che nascessi. Era ritornata per prendere anche lui.

Il treno viaggiò per molte ore poi si arrestò; la frontiera era chiusa. Ci fecero scendere. Le notizie erano confuse. Una donna salì sul tetto urlando che il Nord verso cui eravamo diretti non esisteva più, era distrutto; poi tentò di gettarsi nel vuoto ma venne afferrata dagli agenti. In un angolo un prete ripeteva inascoltato che l’uomo non è se Dio non è. Arrivarono dei vecchi autobus e ci fecero salire. Ci trasportarono in un grande piazzale sul porto. Là venimmo imbarcati.

Il viaggio durò un giorno intero. Verso sera, sentimmo il motore rallentare. Non era possibile distinguere il profilo della terra, ormai nera come il cielo. L’oscurità confondeva le luci lontane delle stelle deserte con quelle dei casolari adagiati sulle colline. Poi iniziammo a distinguere la sagoma degli edifici della città, le finestre dei palazzi. Alcune avevano le luci accese; riempivano il basso orizzonte come tessere di un puzzle dal disegno misterioso; altre, invece, sembravano macchie dipinte senza un contorno, spuntate per magia in mezzo all’oscurità.

Apro la finestra e come allora vedo ancora navigare i sogni e i pensieri di tanti uomini, donne e bambini sospesi sul margine della medesima notte.

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