Il manicomio di Collina Isola era stato realizzato da medici e scienziati dall’aspetto severo, con sguardi profondi e idee chiarissime. Si somigliavano tutti: importanti baffi e pizzetti neri donavano ai loro volti l’autorevolezza necessaria per compiere scelte difficili.
I malati reclusi là dentro, invece, erano uomini e donne diversi l’uno dall’altro. Matti rinchiusi nei padiglioni con le sbarre alle finestre o raccolti nei cortili interni, oppure immobili per intere giornate in mezzo a un marciapiede o su una panchina.
Alcuni di loro passavano tutto il tempo a fumare, fermi vicino alla strada, a ogni ora del giorno, con il sole e con la pioggia, col freddo o con la neve, e solo una gronda del tetto li riparava da tutte le intemperie.
Se ne stavano tutto il giorno senza far niente. I più fortunati si accendevano una sigaretta con il mozzicone di quella appena terminata. I più abili riponevano il mozzicone nelle tasche del cappotto, perché più tardi avrebbero recuperato il poco tabacco rimasto per fare altre sigarette.
Forse i medici avevano il pizzetto nel loro armadietto e lo indossavano insieme al camice.
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