Mentre sono al bar con Giada, entra Tommaso ed inizia ad accusarmi. Comincia a dire che è stata colpa mia se da piccolo, mentre giocava a nascondino, è rimasto solo; che è per causa mia se nessuno lo ha più trovato.
«Quando sono uscito dal mio nascondiglio», dice, «eravate tutti scomparsi; non era rimasto più nessuno, neppure l’albero dove dovevo correre per fare “tana!”, c’era più; era stato abbattuto!».
«Forse era malato» gli rispondo.
«No, non era malato!».
E invece era malato, come lui.
Chi è stato qualche volta in bicicletta lo sa: quando si è impegnati a pedalare in salita non è consentita nessuna distrazione. E mio fratello Tommaso si era messo a pedalare dentro la sua testa; era impegnato a inseguire tutti i suoi pensieri come se fossero vette da scalare.
E il destino degli scalatori è quello di restare sempre soli con se stessi. E con il tempo si abituano a non vedere neppure più chi li chiama ai bordi della strada.