Lei era così piccola che l’avresti detta una bambina ma forse aveva già quindici anni. Non aveva un brutto viso, eppure bastava un attimo che tu guardassi altrove e il suo viso non ricordavi più. Aveva negli occhi uno scialbo sorriso, un sorriso condannato, sorrideva rassegnata senza gioia né dolore. La mamma invece era robusta, ma era diventata grassa, così grassa da non credere, perché il sangue le finiva in grasso. “Nulla resiste alla fatica come può fare una donna” così diceva, “se si mette a letto è solo per morire”. Poi le era venuto quel brutto male che la prendeva forte al petto.
Quando tornò il babbo era sbronzo come altre volte, e lei volle dargli del caffè. Ma quella sera caffè non c’era. Allora la ragazzina scese a cercare caffè, ma quando ritorno su la mamma non ce la faceva più. Metà faccia era quasi nera con la lingua fuori su un lato. “Quasi quasi mi sdraio un po’” disse col fiato che le rimaneva. “Oggi proprio non va”, disse, mentre lui russava nel letto, “oggi qualcosa non va”, disse la mamma mentre se ne andava. Neppure osò svegliarlo il babbo che russava, stava seduta vicina al fuoco mentre lui russava. “Mettilo ora il lardo nella minestra…”, disse alla figlia, “ manca poco che bolle”, le disse, e poi morì.
C’è una voce che si riconosce bene, intrepida e rassegnata che acquieta l’ubriaco e rimprovera i marmocchi, che ninna il poppante tremante nel freddo e affronta il creditore arrabbiato, che implora l’ufficiale giudiziario e conforta nell’agonia. È la voce della madre di famiglia, sempre uguale a se stessa attraverso i secoli, la voce che tiene testa a tutte le miserie del mondo.
(Liberamente tratto dal Diario di un parroco di campagna di Geoges Bernanos )