Abbiamo tutti un blues da piangere (2)

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Nelle città dove mi reco per partecipare a una conferenza di solito trascorro almeno una notte. Al mattino seguente, ad attendermi fuori dall’albergo trovo un taxi che mi accompagna all’aeroporto o alla stazione e durante il tragitto vengo a sapere qual è la mia nuova destinazione. Molte volte mi domando chi organizza in questo modo tutte le mie giornate, ma non so rispondermi. Ho provato a fare qualche domanda agli uffici preposti e ho scoperto che la società per la quale lavoro nel frattempo è cambiata. Non è una novità, già in passato si è trasformata varie volte: cambia il nome, vengono sostituiti i dirigenti, il personale, la sede ma la procedura rimane inalterata.

Arrivo nel luogo dove si tengono le conferenze, espongo alcuni casi e poi rimango lì a far finta di ascoltare gli altri che parlano. A volte rispondo a qualche domanda, altre volte non ci sono domande e queste sono le volte che preferisco. Incontro molta gente di età e provenienza diversa; solo una persona, quella che a me interesserebbe di più ritrovare, non vedo mai.

Ieri pensavo che sarebbe venuta, ma mi sono sbagliato ancora una volta. C’erano moltissime persone; mi hanno detto che uno dei relatori, un giovane ricercatore, è molto noto qui in città. In sala erano presenti tutti i suoi parenti e poi gli amici, gli amici degli amici, gli amici dei parenti e i parenti degli amici, e poi i parenti dei parenti, insomma c’era un mucchio di gente. Tuttavia la sala non era completamente piena con un’unica eccezione. Nella terza fila, a destra, c’era una poltroncina vuota. L’ho notata subito e ho pensato fino all’ultimo momento che fosse quello il posto che era stato riservato a lei. Durante la serata, ho guardato più volte verso l’entrata per vedere se arrivava, ma la poltroncina è rimasta vuota per tutto il tempo della conferenza. Quinta poltroncina, terza fila a destra: una poltroncina rossa, comoda, vuota. L’ho tenuta d’occhio tutta la sera. Alla fine, quando tutti sono andati via, ho raccolto le mie cose e sono andato  a sedere in quella poltroncina vuota; quinta poltroncina della terza fila a destra. Una comoda poltroncina rossa. Quanto ho desiderato vedere lei che entrava e poterla seguire con lo sguardo mentre andava a sedersi su quella poltroncina; la quinta poltroncina della terza fila a destra.

Quanto desidero poter almeno sapere se lei esiste veramente o se invece si tratta solo di un sogno, un sogno che come un fantasma ormai mi accompagna silenzioso. È passato molto tempo, tanti anni, troppi, da quando lei è scomparsa dalla mia vita. All’inizio ero riuscito a convincermi che si trattava solo di un sogno. Poi è diventata un’ossessione. Ho provato a rincorrerla, ma quell’ossessione andava troppo veloce. Non soltanto si è allontanata da me fino a scomparire dietro l’orizzonte ma deve aver fatto anche un giro completo della terra, perché dopo qualche anno mi è ricomparsa alle spalle. E mi sono reso conto che non ero più io a rincorrere lei ma era lei che rincorreva me. È in questo modo che è diventata una specie di incubo.

Poi oggi sono arrivato qui, e per la prima volta ho letto tutta questa vicenda da un punto di vista diverso. Ho avvertito quasi subito che questo luogo è diverso da tutti gli altri; mi ha fatto ritornare in mente qualcosa, non lo so esattamente, ma è una specie di déjà-vu. Quando è finita la conferenza, e le persone erano già quasi tutte andate via, ho incontrato un vecchio compagno di studi che non vedevo più da tanti anni e gli ho parlato di questa mia impressione. Lui, a quel punto, mi ha raccontato una storia e il suo racconto non ha fatto altro che dare maggiore forza a certe idee che mi girano da stamattina per la testa.

(continua)

J. Iobiz

2 pensieri su “Abbiamo tutti un blues da piangere (2)

  1. Mi stupisce che viaggi, per partecipare a delle conferenze e non sappia chi organizza per lui … Ma in sede non ci va? La cosa si fa curiosa come l’ossessione che alla fine gli si presenta alle spalle … che garbuglio di vita in solitudine che vive. Sembra un ciborg più che un umano.

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