Abbiamo tutti un blues da piangere (fine)

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Già, tutto vero. «Ma Jean Jacques?» ho chiesto al mio amico.

«Lui, purtroppo, fu condannato a vedere anche il rovescio della medaglia. Era pazzamente innamorato di Angelica e lei corrispondeva con passione al suo sentimento. Tutti i giorni, pur non ricordando di essersi già conosciuti, tornavano inspiegabilmente a incontrarsi e a innamorarsi di nuovo. Questo prodigio andò avanti sino a quando Jean Jacques, una notte, completamente ubriaco e forse sotto l’effetto di una droga allucinogena, uccise Angelica colpendola con diverse coltellate per un motivo rimasto sconosciuto.

Lui adesso non ricorda; non ricorda più di averla uccisa e, ovviamente, non è stato punito poiché in quella isola felice nessuno poteva essere chiamato a rispondere di fatti dei quali non aveva più alcuna memoria. Ma ogni nuovo giorno Jean Jacques vive la sua condanna e si ritrova a innamorarsi di un sogno, un sogno che sente di aver già fatto molti anni prima. E non riesce a ricordare chi è quella bellissima ragazza che rivede, vestita solo del suo stupendo sorriso, in ogni sua tristissima notte».

A quel punto il mio amico ha detto che avevamo fatto tardi. Mi ha salutato ed è scomparso.

Mentre stavo ripensando al suo racconto, sprofondato nella poltroncina rossa che era rimasta vuota per tutta le sera, si è avvicinata una commessa e mi ha detto: «Scusi signore, dobbiamo chiudere». «Certo, chiudete pure» le ho risposto io.

«No, mi scusi; deve uscire, qui dobbiamo chiudere».

«Ok» le ho detto.

 «Signore si sente bene?» mi ha chiesto allora lei in modo gentile.

«Sì, sì, va tutto bene».

«Vuole che chiami qualcuno per accompagnarla?».

A quel punto mi sono alzato e ho preso la mia roba. «No, grazie» le ho detto. Poi le ho chiesto se lei aveva un sogno; le avrei voluto dire che se ne aveva uno non se lo lasciasse scappare; doveva correre dietro ai suoi sogni prima che fossero loro a rincorrerla come rimorsi o incubi. Ma nel frattempo lei, quella signorina così gentile, se n’era andata.

J. Iobiz

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