
Ma il vento non parla; forse saprebbe farlo ed è solo che non gli va di parlare. Magari perché è un vento notturno e taciturno, introverso che soffia in direzione contraria. O chissà, forse è stanco perché è stato indaffarato nei giorni precedenti a trascinare grossi cumuli di nembi e a pulire le rotte lasciate dagli aerei e ogni angolo di cielo dopo le folate delle correnti; per questo avrà preferito rimanere lassù in alto, dove l’aria è più fine e il cammino più sgombro.
Sarà per caso un vento vanitoso, di quelli che si danno aria di sapere e invece non scoprono niente, anzi ricoprono tutto di nubi e di sabbia e mulinelli di foglie morte e carta straccia, bianca e sporca?
Adesso, seguendo il vento dei suoi ricordi, il vecchio si ritrova tra le dolci colline e i laghi della campagna dove è nato; tra le canne ora legate a un filo di vento, le viti legate in file ordinate e i pali di legno anch’essi legati da lunghi fili pieni di tanti discorsi scambiati sul margine della strada, ma anche sulle marginalità della vita.
L’uomo immagina intorno a sé nuovi profumi che speziano l’aria, che ora è dolce come il paesaggio. E rivede le infinite colline dove, avvolte dal sole, luminose mimose e ginestre aperte all’aria della tarda primavera e ad ogni nuova speranza, brezza e carezza, hanno lasciato il posto agli estivi campi pieni di spighe.
Vede distintamente la strada snodarsi e riannodarsi a un filo sospeso di ricordi, di rossi casolari e secolari verdi cipressi. Paesaggi sterminati, ritagliati da precisi confini e determinati dalla mano dell’uomo in aie, corti, vigneti e piccoli borghi, tutti animati da contadini, contadine e antiche tradizioni di mille racconti…
(continua)
“Attendo” prossimi raccolti … perché “aspettare” mi crea ansia.
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L’ha ripubblicato su Jakob Iobiz.
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